🇮🇹 La gentilezza: un atto di ribellione
In una società estremamente produttivistica, il perfezionismo pare aver preso il sopravvento. L’insuccesso viene percepito come un evento che deve indurre l’individuo a provare vergogna e non come un’opportunità di crescita. Il fallimento ha lo stesso sapore di una sentenza che condanna l’individuo a provare sensi di colpa per il resto della propria vita.
Quando si perde un anno scolastico, quando si è bocciati a un esame all’università dopo aver studiato per mesi, quando a lavoro si deludono le aspettative che ci si è prefissati, si rischia di cadere in un vortice di tristezza davvero profondo che porta all’isolamento e alla depressione. Quante volte apriamo le prime pagine dei giornali e leggiamo di studenti universitari che si sono tolti la vita pochi giorni prima di una finta seduta di laurea? La vita di una persona oggi vale meno di un risultato o di un’aspettativa da non deludere. Viviamo in una società dove vige un rigido auto-cinismo, connotato da reazioni avverse agli errori, perché in questo mondo non si può sbagliare. La società in cui viviamo è altamente competitiva; ogni individuo viene posto su un piedistallo allo scopo di indurlo a mostrarsi a tutti i costi migliore dell’altro: la competizione aumenta la produttività; più si è competitivi, più si produce.
Un lavoro prestigioso, un ingente salario, una carriera professionale di alto profilo sono i soli obiettivi verso i quali bisogna dirottare i propri sforzi altrimenti non si è degni di stima e rispetto. Quando apriamo le pagine dei giornali o i social network constatiamo che vengono osannati o glorificati unicamente coloro che in pochi anni hanno conseguito una laurea con il massimo dei voti, magari dormendo poche ore a notte oppure rinunciando a svariati bisogni o piaceri; anzi più che tendenti ad esaltare chi ha dedicato anima e corpo al perseguimento dei suddetti obiettivi, sembra che i mass media tendano a sminuire coloro che hanno deciso di adottare uno stile di vita equilibrato. Ciò lo si evince da affermazioni del tipo: “Per avere successo, dobbiamo rinunciare anche al sonno”; “Bisogna lavorare anche di notte o quando si è malati, se è necessario”. Quante volte vi è capitato di ascoltare o leggere frasi di questo genere?
Ci tengo a precisare che questo post non ha lo scopo di sminuire i risultati ottenuti da persone che hanno concentrato i propri sforzi verso un obiettivo; anzi, l’impegno e la volontà sono i più importanti strumenti da mettere in atto quando si vuole perseguire uno scopo. Tuttavia l’esaltazione di un mondo in cui si corre e dove non è permesso rallentare tende a inculcare nella gente la concezione secondo cui ogni minuto non dedicato al raggiungimento di un obiettivo è tempo perso. Vi è mai capitato di provare sensi di colpa quando per un giorno non avete studiato per un esame universitario? Rallentare o prendere una pausa (anche lunga se è necessaria) non è un illecito ma un bisogno, che fa parte della natura umana e che corpo e mente richiedono: d’altronde siamo esseri umani e non robot. Valorizzare il proprio tempo adottando uno stile di vita sano significa anche e soprattutto prendersi cura di sé stessi.
Tuttavia in un sistema estremamente produttivistico le pause non sono concesse o sono ridotte al minimo. Se non metti soldi da parte per un investimento produttivo, se scegli di vivere il presente piuttosto che lasciarti sopraffare dall’ansia per il futuro, se scegli di dedicare più tempo alla famiglia e agli amici piuttosto che al lavoro o al perseguimento di determinati risultati professionali, per la società attuale stai commettendo un errore tanto grave quanto imperdonabile. In un sistema che ci vuole tutti omologati si deve essere orientati solo verso ciò che è produttivo, anche allo scopo di snaturare la propria identità.
I miei occhi non possono fare a meno di notare che molte persone trascorrono la maggior parte delle ore della propria vita a fare ciò che non amano, ritrovandosi ingabbiate in contesti altamente tossici. Lo si nota da quell’insoddisfazione perenne che poi logora le relazioni affettive, dalle continue lamentele che costantemente ascoltiamo quando mettiamo il piede fuori di casa, oppure ancora dalla facilità disarmante con cui le persone reagiscono con rabbia e frustrazione a questioni che hanno poca rilevanza. Pensate a quando guidate la vostra auto o la vostra bicicletta nelle zone più trafficate della città in cui vivete oppure a quando provate a esporre punti di vista differenti nel momento in cui dialogate con qualcuno/a, soprattutto su argomenti come politica o sport. Le persone infelici, allo scopo di mostrarsi superiori rispetto al proprio interlocutore, impongono le loro idee e le proprie ragioni con rabbia; urlano fino a sovrastare le parole pronunciate dagli interlocutori. Le persone non sanno più ascoltare, ma aspettano semplicemente il loro turno prima di parlare.
Ho imparato a mie spese che dinanzi a situazioni di questo genere reagire con rabbia produce l’effetto di ampliare ancor di più l’escalation aggressiva, la quale non porta alla risoluzione del conflitto ma solo ad un suo incremento fino, talvolta, a conseguenze drammatiche.
Le persone litigano tra loro per futili motivi: un punto di vista differente, un parcheggio, problemi a lavoro, competizione per un esame all’università, per un obiettivo professionale o per una promozione a lavoro. Insomma, potrei indicare le cause più disparate, ma basterebbe attraversare il Mediterraneo per rendersi conto che quelle che ho appena elencato sono questioni di poco conto, dato che abbiamo avuto la fortuna di nascere e crescere in quella piccola porzione di mondo dove la ricchezza materiale abbonda. Avere consapevolezza del fatto che il mondo è molto più di quello che vediamo nel nostro comune di appartenenza renderebbe le persone più grate e meno aggressive.
Dinanzi a tanta rabbia e frustrazione, la gentilezza è diventata un gesto rivoluzionario, un atto di ribellione verso un sistema dove le discussioni accese sono all’ordine del giorno. La gentilezza è un valore che tengo molto a trasmettere agli studenti delle classi in cui metto piede e che ho appreso viaggiando in paesi economicamente più poveri dell’Italia: mi riferisco all’Albania, ma soprattutto alla Tanzania. Da quelle parti si vive con pochi oggetti e quel poco che si ha lo si condivide con piacere con chi è in difficoltà, con ospiti, con amici e familiari. In Tanzania le espressioni più utilizzate in lingua swahili sono “Hakuna Matata” e “Hakuna Shida”, locuzioni che in lingua italiana possono essere tradotte con “Nessun problema”. Da quelle parti non ci si concentra su ciò che non si ha ma si è grati per ciò che si ha, a partire da un tetto sopra la testa o da un buon pasto, beni che nella maggior parte delle aree del mondo non appaiono affatto scontati. Queste constatazioni sono state altamente formative per una persona come me, che non voleva nemmeno prendere in considerazione l’ipotesi che un esame universitario potesse non andare bene.
![]() |
| Sconfiggere la povertà non è un atto di carità, è un atto di giustizia. Aiuta anche tu gli studenti della Ejo's School di Arusha. |
In Tanzania i sorrisi sono all’ordine del giorno; ci si saluta anche quando non ci si conosce. Provate a salutare qualcuno che non conoscete nei paesi più sviluppati dell’Unione Europea: sicuramente verreste ispezionati con sguardi ed espressioni disorientate; allo stesso tempo però in questa piccola porzione di mondo ci si insulta con una facilità tanto disarmante quanto spietata. Si è più restii a comportarsi con amorevolezza e gentilezza piuttosto che ad essere costantemente scontrosi e diffidenti.
Proviamo, invece, a praticare quotidianamente la gentilezza e l’amore universale. Sono atti che richiedono coraggio in un sistema occidentalizzato, ma che allo stesso tempo provocano effetti benevoli sull’umore. Quando qualcuno vi parla con aggressività, continuate a rispondere con gentilezza e, se la rabbia persiste, congedatevi dal discorso o dall'interlocutore stesso con la consapevolezza che chi prova rabbia non è altro che un individuo che soffre. Il tempo è un bene prezioso: non sprecatelo in contesti o luoghi che incidono in maniera negativa sul vostro umore; non dirottatelo verso un produttivismo sfrenato, ma trascorretelo con le persone a voi più care o svolgendo le attività che più amate, magari impegnandovi per trasformare le vostre passioni in lavoro. CONFUCIO, filosofo cinese vissuto tra il VI secolo e il V secolo a. C. diceva: Fai quello che ami e non lavorerai un solo giorno della tua vita. Abbiate il coraggio di tradurre in concretezza questo aforisma. Ognuno di voi lo merita. La vita non è un compito ma un dono a un tempo limitato, che pertanto va impiegato per vivere e non per sopravvivere.
A te che stai leggendo auguro di stupire il prossimo con la tua gentilezza e di vivere una vita connotata da poco stress e tanta serenità. Prova ad immaginare come sarebbe questo mondo se tutte le persone fossero più gentili.
![]() |
| Ciao, sono Leopoldo Lagrimosa. È un piacere averti sul mio blog. |




Commenti
Posta un commento